
Chiunque vada sulle Ande e si interessi della relazione che gli indigeni hanno con
l’ambiente, otterrà sempre la stessa risposta: “Pachamama” che in quechua, la
lingua nativa, significa letteralmente “Madre Cosmica”, la nostra amata Madre
Terra. È una relazione che fin dal mio primo viaggio in Perù mi colpì particolarmente.
Tutto sulle Ande si muove in stretto collegamento con la Madre Terra, colei che ci
sostiene, ci nutre, ci consola, ci da la vita. È una simbiosi, non solo fisica ma anche
spirituale. Sulle Ande non c’è distinzione tra questi due aspetti. Tutto è sacro, perché
tutto è parte integrante del Kausay Pacha, il cosmo formato da energia vivente.
Questa è l’idea chiave della cosmovisione andina, cioè del modo in cui la cultura
andina vede e percepisce il cosmo, un cosmo vivente, che pulsa, che fluisce come
un torrente d’acqua cristallina che scende da un ghiacciaio, eterno, un torrente
mutevole nella forma e nella portata a seconda del susseguirsi delle stagioni, ed allo
stesso tempo sempre sé stesso, fluidamente inserito nell’armonia della natura. Ogni
aspetto del creato viene visto sulle Ande come una forma differente di energia
vivente così che il sole, un albero, una montagna, un lago, un animale e qualsiasi
altra presenza nel cosmo viene percepita come una forma di energia vivente.
Ovviamente lo stesso essere umano viene visto come una forma di energia vivente.
Energia vivente… cosa significa? Risulta evidente che qualsiasi definizione diamo al
termine energia vivente risulta essere assolutamente impreciso ed approssimativo
per identificare e descrivere pienamente la realtà, il linguaggio scritto è così, uno
strumento tanto indispensabile quanto approssimativo per la condivisione di
contenuti. Mi pare che il sistema comparativo risulti essere efficace al fine della
comprensione. Se prestiamo attenzione a quanto affermato da altre tradizioni
spirituali circa l’essenza del cosmo, scopriamo che esistono parole che possono
essere riferite al medesimo fenomeno della realtà, cioè indicano il fattore essenziale
costituente il cosmo stesso. In Oriente si parla di Ki, Chi o Prana al fine di indicare
proprio l’essenza vitale della realtà, il fattore basilare che la costituisce, l’energia che
regge l’universo. Mi pare che anche in Occidente sia presente la medesima idea. Nel
cristianesimo si parla de “la forza dello Spirito Santo” come il fattore vitalizzante
dell’universo. Ki, Chi, Prana, Spirito Santo, Kausay sono parole che identificano un
fenomeno della realtà. Lungi da me affermare che la tradizione cinese, giapponese,
induista, cristiana o andina (solo per citarne alcune) siano tra loro uguali o
esprimano gli stessi concetti; sono tradizioni tra loro differenti ed ognuna di queste
esprime un punto di vista differente sulla realtà presa nella sua accezione spirituale.
Questi differenti punti di vista hanno, secondo la mia opinione, una ragion d’essere;
sono la differente risposta che ogni civiltà fornisce a seconda della propria la matrice
culturale, in altre parole è il modo in cui gli esseri umani, informati dalla propria
cultura e quindi dalla propria storia personale e collettiva, vedono il cosmo da un
punto di vista spirituale. Ki, Chi, Prana, Spirito Santo e Kausay quindi non sono la
stessa cosa se si utilizzano queste parole in riferimento alla matrice culturale dalla
quale provengono, ma allo stesso tempo, se si prende come punto di riferimento il
fenomeno in sé trascendendo i sistemi simbolici e rituali propri di ogni cultura, le
stesse parole indicano a mio avviso lo stesso fenomeno della realtà. Per tornare
quindi al tema di questo articolo, sulle Ande si percepisce la Pachamama come un
essere vivente, formato da quell’energia vivente che permea tutto l’universo, che è
sovrabbondante per tutta l’umanità e che la stessa Madre Terra, così come tutto il
cosmo, dispensa ed irradia con generosità. Quante volte ci siamo lamentati perché ci
mancavano le risorse per fare una determinata cosa e magari questo generava
dentro di noi un sentimento di invidia nei confronti di chi, a nostro avviso, questi
mezzi li aveva ricevuti dal “caso”, dal “destino” o dalla “fortuna”? Questo
atteggiamento, da un punto di vista andino, è inconsistente poiché esprime
implicitamente l’idea che se qualcuno ha determinate risorse in qualche modo ce le
ha rubate, sottratte o comunque se ne è appropriato lasciandoci a mani vuote. Se al
contrario ci si pone dal punto di vista che un cosmo fatto di sovrabbondante energia
vivente dispensi tramite la Pachamama, per quanto riguarda in maniera specifica gli
aspetti materiali, altrettante sovrabbondanti risorse, possiamo scoprire che tutto il
problema si racchiude nell’identificare i luoghi e gli spazi più idonei ad incontrare
dette risorse, oltre alle forme con le quali attingervi. Il punto diventa quindi non più
contrapporsi ad altre persone per la lotta al fine di accaparrare risorse ma, al
contrario, identificare e riconoscere dove siano presenti le risorse che ci occorrono
per manifestarci, il che porta a maturare ed esprimere un sentimento di rispetto,
amore e dedizione nei confronti del cosmo intero. Queste qualità sono molto
evidenti nell’area andina, che proprio sulla Pachamama pone particolare enfasi. Alla
Pachamama si fanno offerte, per lei si prepara cibo, si invoca il suo aiuto, si parla
con lei, le si confidano le proprie preoccupazioni. È una relazione stretta ed
affettuosa, intima come lo può essere quella tra un figlio che ha bisogno di
nutrimento e la propria madre, cioè colei che ti da alla vita, che ti fornisce il corpo,
l’abitacolo che contiene la tua essenza e che allo stesso tempo è parte della tua
stessa essenza. Uasi, con questa parola sulle Ande si identifica il corpo, abitacolo
appunto. Ma uasi ha, allo steso tempo, anche altri significati: uasi significa casa,
corpo, tempio. Come è facile notare con questa parola si identifica allo stesso
tempo, l’aspetto materiale (corpo), l’aspetto sociale (casa, nel senso di luogo ove si
riunisce la comunità famigliare), e l’aspetto spirituale (tempio, luogo di relazione con
il metafisico). È un’unione armonica, sacra e materiale allo stesso tempo. Qui, nel
vecchio mondo europeo, ancora si vive una distinzione tra materiale e spirituale, tra
sacro e profano, mentre sulle Ande questa distinzione cade proprio grazie alla
relazione che l’essere umano ha con la Pachamama, che allo stesso tempo è la
solida terra sulla quale poggiamo i piedi ma anche un’entità vivente con la quale
relazionarsi intimamente, e senza contraddizione tra i due aspetti che vengono
intesi come complementari. Con la Pachamama gli uomini hanno una relazione di
ayni, che significa reciprocità. La reciprocità è, dal punto di vista andino, il principio
che regola tutto il cosmo; è il modo in cui la tradizione ti suggerisce di vivere per
crescere in maniera armonica; lo stesso Dio metafisico andino, quando si manifesta
agli uomini, secondo la tradizione dice Ayninakùicis cioè “praticate l’ayni, praticate
la sacra reciprocità”. Praticare la reciprocità con la Madre Terra è il modo andino di
vedere la vita, scambiare con lei con generosità, prendendosi cura di lei, la quale
farà altrettanto coprendoci dei suoi doni. Tutta la vita viene vista in forma di
reciprocità. Nello scambiare con generosità, cioè in maniera disinteressata,
fatalmente si ottiene sempre più di ciò che si dona. I maestri sulle Ande dicono che,
quando veniamo in questo mondo, lo spirito, la mente ed il corpo si uniscono. Lo
spirito proviene dal mondo di sopra, dal mondo metafisico; la mente (intesa come
psiche, cioè come fattore culturale) proviene dall’ambiente sociale inteso come
famiglia e comunità; il corpo proviene dalla Pachamama. Riceviamo tutto ciò ed il
nostro compito è semplicemente quello di crescere, così come fa un seme che
poggiato dentro la terra cresce fino a diventare un albero. Alla fine dei nostri giorni
sulla terra, restituiremo incrementate tutte e tre queste parti: lo spirito che abbiamo
ricevuto ritornerà al cielo arricchito dall’esperienza terrestre; la nostra psiche,
accresciuta dalle nostre esperienze personali di tutta la vita, lo restituiremo a tutta
la comunità sotto forma di informazioni, affetti e sentimenti; il corpo, anch’esso
cresciuto lungo tutta la vita, lo restituiremo alla nostra amata Madre Terra che lo
accoglierà e lo trasformerà in nutrimento per altre forme di vita. Tutta la vita quindi
è vista come una forma di reciprocità, e la Pachamama svolge in questo un ruolo
fondamentale, è colei che ci fornisce l’abitacolo, cioè il sacro mezzo fisico per poter
manifestare le nostre qualità, è colei che ci nutre e ci sostiene per tutta la vita, è
colei che accoglierà il nostro tempio corporeo quando il nostro percorso terreno
sarà concluso. Per questi motivi la relazione con la Pachamama è intima, profonda e
rispettosa, è colei che ci da la vita e ci nutre, è la mamma. A volte non abbiamo idea
di quanto potente sia la Pachamama. Mi torna in mente a tal proposito un episodio.
Una persona, un occidentale, chiese ad un maestro andino “Cosa pensi di ciò che
l’essere umano sta facendo alla terra? La sta distruggendo….”. Ed il maestro dopo
una breve riflessione rispose: “Distruggere? L’essere umano non può distruggere la
terra!! Un bel giorno la terra si darà una bella scrollata di spalle e tutto ritornerà al
suo posto…”. L’essere umano non può distruggere la terra, è troppo potente la
terra, troppo grande, e noi siamo degli illusi se pensiamo veramente di poterla
distruggere, l’unica cosa che possiamo fare è distruggere noi stessi, la terra non si
distrugge, sta lì da miliardi di anni e probabilmente ci rimarrà almeno altrettanto,
mentre noi esseri umani siamo molto più fragili. L’unica speranza che abbiamo per
sopravvivere è instaurare, o meglio re-instaurare, con la Pachamama una relazione
di profondo rispetto ed amore e lei continuerà a darci il suo sostegno ed il suo
nutrimento. Per fare questo però è necessario, dal mio punto di vista, un
cambiamento di prospettiva. Dobbiamo cominciare a considerare la terra non più
solo come un agglomerato di minerali, vegetali ed animali ma come un essere
vivente in sé, con il quale relazionarsi personalmente. Uno degli spiriti più illuminati
del nostro mondo, già più di 7 secoli or sono, parlava di “Sorella Madre Terra”, come
sapete era San Francesco d’Assisi, sicuramente un personaggio dall’indiscusso
carisma spirituale, riconosciuto come tale non solo dai cattolici ma da tutte le grandi
tradizioni spirituali. San Francesco d’Assisi, con la sua semplicità e la sua umiltà, ha
prodotto un profondo cambiamento nel nostro mondo. Ha recuperato un rapporto
con la sacralità della natura nella sua totalità. Era un mistico, una persona cioè che
era in grado di relazionarsi al principio metafisico, a Dio in termini cristiani,
direttamente, senza intermediari. La sua era una mistica della natura, una mistica
tramite la quale un essere umano poteva ricollegarsi alle proprie interiorità più
profonde e, allo stesso tempo, fluire nella vita stessa, armonicamente così come
armonica è la vita, affermativa in sé. La vita tende sempre ad auto affermarsi, è di
per sé positiva, evolutiva. La vita non nega ma, al contrario, afferma. Questa è una
distinzione importante per comprendere più da vicino il concetto andino di energia
vivente ed il relativo utilizzo. Gli andini distinguono l’energia vivente in due forme
particolari: samy che in quechua significa nettare e può essere tradotto come
energia fine o sottile e jucha che significa energia pesante. L’energia fine può essere
intesa come energia comoda, confortevole, mentre l’energia pesante può essere
intesa come scomoda o sgradevole. È facile intuire come fine e pesante sia un’idea
assolutamente relativa per ogni essere umano. Ciò che è pesante per me può non
esserlo per qualcun altro e viceversa, ed altrettanto si può dire per la percezione
dell’energia fine. Come si produce l’energia pesante? Come si genera? I maestri sulle
Ande descrivono questo fenomeno paragonando l’energia fine ad un corso d’acqua
pura e trasparente e l’energia pesante ad un blocco dello scorrimento di
quest’acqua. Se l’acqua viene bloccata può ristagnare ed arrivare ad essere fangosa
o ad imputridire, questa è la jucha, l’energia pesante. Ma è molto facile rendere
questo flusso di nuovo limpido, farlo cioè tornare energia fine. È sufficiente
rimuovere ciò che blocca il flusso e l’acqua tornerà a scorrere naturalmente
purificandosi in brevissimo tempo. Come può accadere che questo flusso si blocchi?
Solo l’uomo ha questo potere nel cosmo. Animali, piante, montagne, laghi, mari,
stelle… ognuno di questi elementi costituenti il cosmo fluiscono naturalmente
all’interno dell’universo, occupano il posto che loro compete, svolgono la funzione
che naturalmente è loro assegnata. L’uomo no, non sempre quanto meno. L’uomo
sceglie, è dotato di una funzione, una qualità, un talento che nessun altro essere
possiede: il libero arbitrio. L’esercizio del libero arbitrio però non sempre è
coerente, funzionale, in armonia con il cosmo e, quando non lo è, ecco che si blocca
il flusso, non si fluisce più all’interno del cosmo e si comincia a generare energia
pesante, scomoda, che non ci fa sentire a nostro agio nella vita e con la vita. Un dato
interessante che mi colpì fin dalla prima volta che udii don Juan Nuňez del Prado, il
mio maestro andino, parlarmi di energia vivente, fu che sulle Ande non si parla e
non si concepisce l’energia come negativa, al contrario di molti occidentali. Quante
volte abbiamo sentito parlare di questa o quella persona come portatrice di
negatività. Sulle Ande invece si parte sempre dal punto di vista che l’energia è
vivente e, in quanto tale, affermativa. Negativa significa “che nega” e l’unica forma
di risposta che un essere umano possiede per relazionarsi a qualcosa o qualcuno che
ci nega è rifiutarlo, respingerlo, evitare qualsiasi forma di relazione. Se invece il
punto di vista è che si tratti semplicemente di energia pesante le cose possono
assumere un aspetto completamente diverso. Con qualcosa di pesante posso
entrare in relazione, vale a dire che innanzitutto lo accetto come forma vivente e
quindi ho la possibilità di scegliere in quale modalità relazionarmi. Nel primo caso ho
un atteggiamento escludente e di rifiuto mentre, nel secondo, ho un atteggiamento
accogliente ed includente. Risulta di tutta evidenza come la seconda possibilità sia di
fondamentale importanza per una sana e pacifica coesistenza tra gli esseri umani e
come possa portare vantaggi concreti in termini di espressione di solidarietà e
sviluppo della cooperazione tra popoli. Se gli esseri umani si ponessero dal punto di
vista inclusivo, il risultato sarebbe il comprendere ed il sentire che ogni uomo è un
altro me, in grado di condividere con me il proprio valore arricchendomi.
Certamente cambiare il proprio punto di vista trasformandolo da escludente ad
includente presuppone un’evoluzione interiore poiché non è possibile limitare
questo cambiamento ad un modo di pensare, è necessario espanderlo al nostro
sentire. Ritengo che il praticare qualsiasi percorso di formazione interiore possa
alimentare in maniera considerevole questo processo di crescita, l’unica cosa
importante è che detto percorso sia risonante e compatibile con il proprio modo di
essere, le proprie caratteristiche e le proprie qualità. Per quanto mi riguarda posso
affermare che la tradizione andina può dare il proprio contributo alla manifestazione
di queste qualità, rimanendo inteso che si tratta di un punto di vista e non del punto
di vista. Abbiamo parlato di un cosmo fatto di energia vivente, ma esiste un altro
fattore molto importante nella tradizione andina: il seme dell’inka. Sulle Ande si dice
che ogni essere umano è portatore di inka muju, di un seme dell’inka appunto. Per
comprendere il significato di questa affermazione è necessario spiegare cosa
significa la parola inka. Da un punto di vista etimologico inca pare provenga dalla
parola enka che significa “colui che è in grado di redistribuire”. Questo titolo era
riservato all’imperatore del tawantinsuyo, questo il nome dell’impero incaico, e può
essere considerato un sinonimo di “illuminato” nel senso di colui che ha raggiunto
un livello spirituale tale da permettergli di brillare, cioè di poter emettere luce fisica
visibile ad altri esseri umani. Ogni essere umano ha in sé un seme, cioè una serie di
informazioni potenziali che, se adeguatamente sviluppate, possono portarlo a
raggiungere il livello di un illuminato, potremmo dire, solo a titolo esemplificativo, di
un Buddha o di un Cristo. Secondo la tradizione sviluppare il seme dell’inka è un
processo naturale, l’unica cosa della quale occuparsi è di porlo nelle condizioni
adeguate per poter far si che germogli. L’unica cosa da fare è metterlo nella terra e
dargli un poco di acqua, al contatto con l’oscurità della terra e l’umidità dell’acqua il
processo di germinazione si svilupperà naturalmente, la pianta crescerà collegandosi
autonomamente con l’aria ed il sole. Come si vede è un processo assolutamente
naturale così come naturale è il processo di sviluppo di ogni essere umano, non
richiede forzature, basta assecondarlo e in questo processo il ruolo di generazione,
di innesco, è svolto proprio dalla Pachamama. Tutto il percorso spirituale, le tanto
semplici quanto efficaci pratiche che la tradizione andina insegna, porta ad avere un
profondo collegamento con il cosmo e con l’energia vivente in esso contenuta, ed
un posto speciale viene assegnato alla Pachamama. Questo percorso sulle Ande
prende il nome di Kàusay Pùriy che significa “camminare nel cosmo vivente”.
Auguro ad ogni essere umano di poter camminare sul sacro suolo della Pachamama
godendo dei suoi abbondanti frutti, della sua calda protezione e del suo sicuro
sostegno. Siamo i suoi figli, si prenderà cura di noi.
TAWANTIN
robertosarti66@yahoo.com
Privacy&Policy