
Voglio in questo articolo porre l’accento su alcuni elementi basilari della tradizione spirituale andina
contemporanea, intesa come l’evoluzione dell’antico sciamanesimo andino che risale almeno a 9.500
anni fa ed in considerazione della ben più antica presenza umana in questa regione databile almeno a
14.000 anni prima della nostra era. Per comprendere le basi sulle quali una tradizione spirituale poggia
le propria fondamenta, è indispensabile parlare della cosmovisione, cioè del modo specifico di una
determinata cultura di vedere e percepire la realtà. Il primo concetto fondamentale, per quanto riguarda la tradizione spirituale andina, è quello del “Kausay”, parola Quechua – la lingua nativa degli indigeni delle Ande del Perù – che può essere tradotta con “energia vivente”. Per gli andini tutto il cosmo è composto da sovrabbondante energia vivente. Gli alberi, gli animali, i mari, le montagne, il sole e la luna, gli uomini stessi sono forme tra loro differenti di kausay, forme diverse di energia vivente. Tutta l’arte spirituale andina, si prefigge la “gestione dell’energia vivente”, risvegliare la capacità di mettersi in relazione con un cosmo fatto di energia vivente.
Qual è il senso pratico di tutto questo? E’ necessario introdurre un ulteriore concetto proprio della tradizione: Kausay Puriy ti porta ad Allin Kausay. Camminare con l’energia vivente ti porta a vivere bene, ad avere una vita totalmente abbondante, essere capaci di realizzare i propri sogni e le proprie aspirazioni. Tutto ciò è possibile partendo dall’evoluzione personale per trascendere una quantità di limitazioni che siamo noi stessi a porci. La tradizione serve quindi a vivere meglio la vita quotidiana e con le sue pratiche si può raggiungere il benessere interiore a volontà, al di là delle circostanze. Per questi motivi il percorso di chi apprende e pratica l’arte andina, si chiama “Kausay Puriy” che vuol dire “camminando con l’energia vivente”. Per poter compiere questo percorso, per poter entrare in contatto con l’universo fatto di energia vivente, è necessario sapere di quali strumenti dispone l’uomo per relazionarsi al cosmo di energia vivente e come utilizzarli. Il primo di questi strumenti è una scala che potremmo definire “di evoluzione della coscienza”. Si tratta di una scala composta da sette livelli ben identificati, sette tappe precise che l’uomo può percorrere nel suo cammino di evoluzione interiore e che risuonano in maniera evidente e coerente con quanto lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung, sostiene a partire dal secolo scorso: tutti gli esseri umani sono dotati di coscienza. Il cammino andino aiuta a trascendere il livello di coscienza nel quale si trova un individuo, ad andare cioè “oltre”. Passare quindi da un livello ad un altro significa evolversi. Poter comparare i propri progressi spirituali con un sistema organizzato ed efficiente di “livelli”, conferisce al praticante dell’arte andina la percezione esatta del “dove si trova” e del “dove deve andare”.
Rimando ad un altro momento lo sviluppo analitico di questo tema pur riconoscendo che si tratta di un tema fondamentale per poter comprendere appieno le potenzialità di questa arte spirituale. In ogni caso possiamo considerare la scala dei sette livelli di coscienza come la mappa per poter camminare, senza rischio di perdersi, nel cosmo vivente. L’altro strumento fondamentale è quello che la tradizione chiama “il seme dell’Inka”. Cosa significa? Secondo la tradizione ogni uomo viene a questo mondo con una virtù originale, una sua unicità etica, un potere che può essere paragonata ad un seme. L’Inka, nel XVI secolo, era l’imperatore, e veniva scelto ed eletto tra dodici candidati in considerazione delle maggiori capacità e del livello spirituale conseguito. Solo chi raggiungeva il livello più alto della scala di evoluzione della quale abbiamo accennato in precedenza poteva essere eletto imperatore. Il seme dell’inka quindi parla di una virtù originale presente nell’uomo e che, una volta entrata in contatto con le energie del cosmo vivente, acqua, terra, sole e aria, può portare l’uomo stesso al livello dell’illuminato. Il seme dell’inka può essere considerato come la bussola interiore che ogni essere umano possiede per potersi orientare nel cosmo vivente. Abbiamo quindi mappa e bussola, ora possiamo camminare sicuri della direzione.
Un posto speciale tra gli elementi che il cosmo ci mette a disposizione per poter far crescere un albero dal seme dell’inka, l’arte spirituale andina lo riserva alla Pachamama, la Madre terra, la nostra madre cosmica che ci nutre, ci rafforza e ci sostiene. Con l’aiuto di “Padre Cielo” e “Madre Terra” l’uomo può compiere il grande salto di evoluzione. I maestri spirituali sulle Ande dicono che solo con le due pratiche di connessione con Cielo e Terra (che indichiamo nel riquadro) l’uomo può arrivare ad illuminarsi. Come si può notare si è parlato finora di “arte” andina, non di filosofia o di religione. Perché? Il motivo risiede nel fulcro stesso della tradizione spirituale delle Ande del Perù. L’arte andina può assolutamente essere intesa come una serie di pratiche che contribuiscono all’evoluzione personale dell’individuo, ma non stiamo necessariamente parlando di una serie di dogmi o credenze che richiedono di aderire obbligatoriamente ad una filosofia. Si tratta di una serie di pratiche.
Questo fa sì che dette pratiche possano essere assimilate da persone appartenenti a qualunque tipo di
confessione religiosa. Durante i seminari e le conferenze che organizziamo, a nessuno viene chiesto in
cosa crede. A nessuno viene chiesto se sia ateo, protestante, buddista, agnostico e così via. Alle
persone vengono semplicemente insegnate una serie di pratiche che possono essere d’aiuto per
l’evoluzione personale. Si può quindi dire che si tratta di uno strumento neutro che non entra in
conflitto con nessun tipo di credenza, ideologia o fede religiosa, ma che può servire a rafforzare la
stessa confessione religiosa dell’individuo, portando quindi un cristiano a vivere il cristianesimo in modo
più significativo, un buddista a vivere il buddismo in modo più significativo, e così via. L’evoluzione
interiore però determina anche un’evoluzione esterna. Questo è ciò che, sulle Ande, si chiama “karpay”,
potere personale. L’arte andina fornisce soltanto gli strumenti per intraprendere un cammino verso
l’eccellenza in qualsiasi cosa si desideri fare. Ovviamente non si tratta dell’unico strumento esistente in
grado di fare questo. Si può inserire la tradizione spirituale andina nel panorama delle tecniche spirituali
presenti in tutto il continente americano, dall’Alaska alla Terra del Fuoco. La caratteristica comune alla
maggior parte delle tecniche spirituali presenti in questo territorio è di lavorare con l’energia. Per
fornire uno spunto comparativo possiamo dire che nel nostro “vecchio mondo” la pratica spirituale per
eccellenza è la preghiera mentre, per quanto riguarda l’Oriente possiamo considerare la meditazione.
Possiamo concludere quindi che così come la preghiera sta all’occidente, e la meditazione all’Oriente,
allo stesso modo il lavoro energetico sta alle Americhe e, nel nostro caso specifico, anche alle Ande del
Perù. Infine un ultimo tema fondamentale. C’è una regola nell’arte andina, un comandamento. Sulle
Ande, ogni volta che l’Assoluto si manifesta dice: “Ayninacuichis” che vuol dire “praticate l’ayni, mettete
in pratica la reciprocità sacra”. L’ayni è il principio di reciprocità secondo il quale tutto il cosmo fluisce.
Questo è quindi il “comandamento andino”: scambiare e condividere con generosità.
TAWANTIN
robertosarti66@yahoo.com
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